Dopo n decreti ministeriali che hanno affrontato le casistiche di luoghi di lavoro diversi dai cantieri, dopo le sollecitazioni di ANCE alla chiusura dei cantieri edili e di ingegneria civile, la Rete Professioni Tecniche (ovvero l'associazione che a livello nazionale rappresenta quasi tutti noi coordinatori, vedi qui) ha inviato il 13 marzo u.s. un comunicato al presidente Conte in cui chiarisce i comportamenti che, come tecnici, dobbiamo tenere nella nostra attività di cantiere in relazione al COVID-19.
Ora, a prescindere dall'individuazione delle ragioni che hanno portato RPT a scrivere al presidente Conte una comunicazione che sembrerebbe interpretativa dei decreti emanati dal suo governo, val la pena di analizzare le conseguenze di tale documento sulla nostra quotidiana attività.
L'incipit del documento attesta la peculiarità dell'attività dei tecnici
la loro attuazione concreta avviene per il tramite di ispezioni nei cantieri e di un confronto diretto con le maestranze, i fornitori, e più in generale con la complessa articolazione di un cantiere
per cui ci si aspetterebbe una valutazione della necessità/opportunità degli spostamenti di noi tecnici. L'argomento viene però abbandonato, senza alcuna conclusione. Il documento affronta poi il tema "il cantiere va chiuso o no", affermando che
Il DPCM non prevede espressamente la sospensione delle attività produttive connesse alla realizzazione di un’opera ma solo di quelle che possono essere assimilate alle attività di un “reparto aziendale non indispensabile alla produzione”. Tutte le altre attività di cantiere, dunque, possono proseguire, ed in particolare quelle che hanno attinenza a specifiche situazioni di urgenza o di gestione dell’emergenza (edilizia ospedaliera, infrastrutture strategiche, opere legate alla ricostruzione post sisma,..ecc.).
Sembrerebbe di capire che tutto ciò che non riveste tale caratteristica di urgenza possa/debba essere sospesa, ed in effetti il documento prosegue con un'affermazione che, con un po' di energia, potremmo leggere in tal senso
A parere della RPT, quindi, non esistono allo stato obblighi generalizzati di sospensione delle attività di cantiere, anche se appare utile condividere con tutti gli attori del processo la possibilità di una loro interruzione per il tempo di cogenza del DPCM 11 marzo 2020.
Il documento prosegue, poi, con un'affermazione che lascia spazio ad alcune criticità evidenti.
[...] la natura dei compiti specifici del Direttore dei Lavori, del Responsabile dei Lavori e del Coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione, individuano in queste ultime due figure quelle più direttamente legate alla predisposizione, prescrizione e controllo di procedure idonee ad attivare forme di contenimento del contagio nel cantiere.
A prescindere dal fatto che la sospensione dei lavori compete, per legge, al direttore dei lavori, e quindi l'azione primaria volta al contenimento del contagio (sospendere i lavori) spetta a questa figura (di concerto con committente e/o responsabile dei lavori), quanto previsto nel seguito può assumere contenuti di illegittimità/assunzione di ruoli non propri da parte dei tecnici, in particolare del CSE.
Azione 1: attivare un concerto tra i soggetti professionali sopra indicati, i rappresentanti della Stazione Appaltante, pubblica o privata, i rappresentanti dell’Impresa esecutrice per valutare le condizioni che siano eventualmente di ostacolo ad una chiusura del cantiere fino al termine di validità del DPCM 11 marzo 2020, verbalizzandone gli esiti e ripetendo questa operazione almeno due volte nel periodo di cogenza del suddetto Decreto. A chi compete l'onere di attivare questo incontro?
Azione 2: valutata la possibilità, opportunità, necessità di proseguire i lavori, il Coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione (CSE), dopo avere acquisito dell’impresa la valutazione del rischio riferita all’emergenza in essere, predispone una procedura volta ad integrare il PSC e di conseguenza attuare gli indirizzi di cui al comma 7 lettera d) e comma 8 del DPCM 11 marzo 2020, condividendola con il Responsabile dei Lavori; Quali disposizioni può dare il CSE, attuative delle specifiche disposizioni del DPCM citato, che non si configurino come ingerenza (o esercizio di poteri di fatto) nelle attività dell'impresa? Il ruolo e la responsabilità del coordinatore sono l'individuazione, eliminazione o riduzione al minimo dei rischi specifici del cantiere e dei rischi interferenziali. Il Covid-19 non ricade in queste categorie, quindi, come e perchè il CSE può/deve predisporre una procedura operativa che va ad ingerirsi nella gestione di un rischio che non è specifico di cantiere (trattandosi di pandemia) e che non è nemmeno funzione delle attività svolte in cantiere dall'impresa e dei conseguenti rischi che tali attività comportano su altre imprese o su aree "altre"?
Azione 3: tale procedura deve essere illustrata all’Impresa esecutrice cui spetta l’obbligo di informare e formare le maestranze circa i rischi generali di contagio e, soprattutto, circa l’importanza di assumere, fuori dall’orario di lavoro, comportamenti coerenti con le indicazioni del Governo e delle autorità sanitarie;
Azione 4: il Direttore dei Lavori, assume la procedura del CSE ed annota gli eventuali impatti che l’adozione dei suddetti provvedimenti può avere sui costi, la programmazione, gestione, esecuzione, ecc. delle opere; Ovvero, la procedura predisposta dal CSE può comportare una variazione dei costi delle opere (direi che è altamente improbabile) o dei costi della sicurezza - opzione che non è prevista nelle norme vigenti in materia di opere pubbliche. Bizzarra, questa disposizione, pensando all'impatto sui costi. Dal momento, però, che si parla anche di programmazione, sembrerebbe che il CSE, sua sponte, possa proporre al DL di modificare la durata delle fasi di lavoro, o addirittura pensare di sospenderne alcune: indicazioni di questo tipo richiedono ben più che il parere di un CSE e l'ok di un DL, in quanto coinvolgono committenza e imprese (e, tra l'altro, spesso, non un'unica impresa). Quindi, forse, il tema va approfondito.
Azione 5: laddove l’adozione dei provvedimenti prescritti dal CSE non permettesse l’esecuzione di una specifica attività, ovvero ad assicurarne la qualità e la corrispondenza alle prescrizioni di progetto, il Direttore dei Lavori ne dispone la sospensione e procede a riprogrammare le attività di cantiere compatibili con le prescrizioni del CSE. Sembra di capire che il DL può disporre la sospensione delle attività se il CSE "barda" a tal punto i lavoratori per effettuare in sicurezza un'attività, che gli stessi non possono ragionevolmente lavorare nel rispetto di queste disposizioni, o se il risultato di tali lavorazioni, dal punto di vista tecnico, non può essere conforme alle disposizioni progettuali o alle norme/buona tecnica.
Se dai nostri rappresentanti ci aspettiamo una parola chiara, forse non è ancora giunto il momento.